Il ribattino, nelle sue tante forme, è un punto di chiusura permanente concepito per unire due o più lamiere o componenti strutturali in modo stabile e duraturo. La sua funzione di “chiusura a fungo” nasce dalla deformazione plastica della coda del perno, che una volta ribattuta crea un doppio allargamento capace di bloccare i pezzi come una vera e propria borchiatura metallurgica. Proprio questa caratteristica, che garantisce robustezza meccanica e resistenza alle vibrazioni, diventa un ostacolo all’atto di doverlo rimuovere: a differenza di una vite, infatti, il ribattino non possiede intagli o filettature da svitare, ma un corpo unico che dopo la posa non può più tornare alla forma iniziale. La necessità di toglierlo si presenta quando serve smontare pannelli, sostituire parti arrugginite, aprire carenature o aggiornare componenti elettroniche; un’operazione da eseguire con attenzione per non lesionare i materiali circostanti né deformare i fori in cui alloggerà il nuovo elemento di fissaggio.
Tipologia dei ribattini e motivi per rimuoverli
Un primo passo consiste nel riconoscere il tipo di ribattino che ci si trova di fronte. Il ribattino pieno tradizionale, forgiato in alluminio, rame o acciaio dolce, viene battuto a caldo o a freddo e mostra la testa emisferica su entrambi i lati; quello a strappo, noto come rivetto pop, possiede invece un mandrino che si spezza durante la posa e lascia un perno cieco incastrato al suo interno. Spesso, soprattutto in carrozzeria o in telai di mobili metallici, compaiono ribattini semi-tubolari o con testa svasata che affondano nel metallo formando una superficie quasi affiorante. La motivazione alla rimozione in ciascun caso varia: si desidera aprire un involucro sigillato, sostituire lamierati corrosi, recuperare elementi vintage restaurando la brillantezza delle lamiere, o semplicemente spostare un componente interno che il ribattino tiene serrato contro il telaio. Capire la conformazione della borchia e la durezza del materiale aiuta a scegliere la tecnica appropriata, un aspetto essenziale per evitare sprechi di tempo e danni permanenti.
Preparazione e sicurezza
Prima di impugnare strumenti rotativi, lime o cacciaspine, occorre creare un ambiente di lavoro ordinato e protetto. La rimozione dei ribattini produce inevitabilmente trucioli metallici, schegge taglienti e polvere abrasiva. Una superficie di appoggio stabile, rivestita da un cartone spesso, evita graffi su pannelli verniciati e raccoglie la limatura. Occhiali a copertura laterale, guanti da meccanico in nitrile rinforzato e tappi auricolari proteggono rispettivamente occhi, mani e udito da scintille, calore e vibrazioni. Se il pezzo è verniciato, un nastro in carta da carrozziere circoscritto attorno alla testa del ribattino preserverà la finitura da eventuali abrasioni accidentali generate dalle punte del trapano o dalle mole flessibili.
Tecniche meccaniche per ribattini a testa piena
Il metodo canonico per un ribattino pieno prevede la foratura della testa con una punta da trapano calibrata. Scegliere un diametro appena superiore allo stelo assicura che la testa ceda prima che la punta affondi nel secondo pezzo, evitando un foro sovradimensionato. Posizionare sul punto di inizio foro un bulino o un punzone leggero crea l’impronta di centraggio: senza quel piccolo scavo la punta scivolerebbe sulla curvatura emisferica consumando il perno di lato e ovalizzando l’apertura. Una volta iniziata la foratura, si procede a velocità moderata, applicando un olio da taglio che lubrifica, disperde calore e preserva l’affilatura della punta. Appena la testa sottilissima si separa in un anellino, si sfila la punta, si ribalta il pezzo e con un cacciaspine della stessa misura si spinge fuori il gambo rimanente, esercitando colpi decisi ma controllati con un martello a testa in nylon. Se il gambo oppone resistenza, un colpo alternato di punzone e microtorcia a gas spalanca termicamente il foro, dilatando leggermente l’imboccatura e agevolando l’espulsione.
Tecniche per rivetti a strappo e mandrino
I rivetti ciechi presentano la complicazione del mandrino spezzato, che resta conficcato e offre un nocciolo molto duro difficile da fresare. Una strategia efficace consiste nel frapporre una rondella fine tra punta e testa, così da limitare il rischio che la morsa del trapano trascini il pezzo ruotandolo in senso solidale. Una punta HSS-Co al cobalto, più dura del mandrino, perfora gradualmente il centro; il calore generato ammorbidisce la lega di alluminio del corpo, e la testa cede lasciando emergere il cilindro. A questo punto si può usare un estrattore filettato: avvitandosi nel foro centrale, aggrappa il mandrino residuo e lo trascina in fuori. Nei casi ostinati, una fresa svasatrice a tre labbri abbassa la corona di testa fino a livello lamiera, lasciando la borchia sporgere meno di un decimo di millimetro. Un singolo colpo di punzone dal lato opposto spinge via tutto il corpo, liberando il pannello senza allargare il foro originale.
Protezione delle superfici circostanti
Specialmente nei lavori di restauro di strumenti musicali d’ottone o di apparecchi d’arredo in metallo cromato occorre evitare che le punte diamantate lascino graffi. Una piastrina di rame sottile interposta tra la testa del ribattino e la mola, avvolta in nastro isolante, funge da scudo sacrificabile. Durante la battitura del cacciaspine, posare sotto al pezzo un ceppo di legno duro previene deformazioni da contraccolpo e attenua il rumore, evitando vibrazioni che potrebbero incrinare saldature vicine.
Gestione del calore e uso del trapano
Quando si lavora su lamiere sottili è facile farle arrossare localmente con il calore da attrito. Una spruzzata di fluido refrigerante sprigionato ogni cinque secondi mantiene la temperatura sotto i cinquanta gradi, valore al di sopra del quale la vernice inizia a bollire e a sollevarsi in microbolle. Il trapano a colonna offre il vantaggio della perpendicolarità costante, ma in lavori su carrozzeria spesso è impraticabile; in questi casi un trapano elettrico portatile con impugnatura a pistola, tenuto a due mani, garantisce il controllo di allineamento, assecondato dalla piccola impronta bulinata di cui si è detto. Se il pezzo è in posizione verticale, una pasta di paraffina stesa sulla punta evita lo sgocciolamento dell’olio da taglio lungo il fianco del pannello.
Trattamento del foro dopo la rimozione
Rimosso il ribattino, il foro presenta spesso bordi incisi e una sottile bava esterna. Una punta svasatrice conica passata a mano, senza trapano, sbava e crea un leggero smusso che facilità l’inserimento del nuovo elemento di fissaggio. Se il foro risulta allargato di qualche decimo, una rivettatura di sostituzione può sfruttare un ribattino di diametro maggiorato; in alternativa si pratica una boccola in ottone filettata che ripristina la tolleranza originale e permette di sostituire il sistema di unione con una vite passante e dado autobloccante, scelta comune nei restauri elettronici in cui serve smontare frequentemente il pannello.
Errori comuni
La fretta porta spesso a usare punte troppo grandi e a forzare il ribattino in rotazione insieme alla punta. Il risultato è un foro ellittico che costringe a interventi di riporto. Altrettanto frequente è la tentazione di usare un disco da taglio per incidere la testa: la scintilla rovente rovina le vernici e crea fenditure che propagano cricche nella lamiera sottostante. Infine, sottovalutare la durezza di un mandrino d’acciaio può surriscaldare l’utensile: punte annerite perdono durezza, si smussano e scivolano, generando più calore e deformando ancora di più il foro.